Manlio Dinucci
Un giaguaro che ruggisce minacciosamente sullo sfondo dell’Atlantico con la scritta «Capo Verde»: è l’emblema dell’esercitazione Steadfast Jaguar (Giaguaro risoluto) iniziata ieri dalla «Forza di risposta della Nato» (Nrf) in questo piccolo arcipelago (4.000 chilometri quadrati , 400.000 abitanti) al largo della costa senegalese. Vi partecipano forze terrestri, navali e aeree, con oltre 7.000 uomini, coordinate dal quartier generale di Brunssum (Paesi bassi).
Il comando operativo è affidato a un quartier generale galleggiante a bordo della Mount Whitney, «nave di comando e controllo statunitense». L’esercitazione, la cui fase principale si svolge dal 15 al 28 giugno, simula la «risposta» della Nrf a «incidenti sulle isole di Capo Verde e nell’area circostante».
Queste grandi manovre, le maggiori sinora effettuate, hanno lo scopo di testare la capacità della Nato di «proiettare la Nrf a distanza strategica dal continente europeo». Al termine, annuncia un comunicato ufficiale, la Nrf raggiungerà la piena capacità operativa. La Nato disporrà così di una forza di 25.000 uomini ad alta prontezza, in grado di essere proiettata entro cinque giorni «per qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo», dove potrà operare per un mese in modo autosufficiente. Nella conformazione standard (espandibile), sarà composta da una unità terrestre con «capacità di penetrazione», una portaerei col suo gruppo di battaglia, un gruppo anfibio e uno aereo in grado di effettuare 200 incursioni al giorno. Al momento dell’impiego la Nrf, le cui forze sono fornite a rotazione dai paesi Nato, verrà posta direttamente agli ordini del «comandante supremo alleato in Europa» (sempre un generale statunitense).
L’Italia partecipa alla Nrf con il Comando di Solbiate Olona (Va), utilizzato come «comando sempre disponbile per interventi multinazionali in aree di crisi» e con varie unità: reggimenti di alpini, paracadutisti, bersaglieri, artiglieria e supporto logistico. Vi partecipa anche con una componente navale, formata da quattro unità, e con una aerea, formata da diversi velivoli tra cui i Tornado. Per di più, il Comando Nato di Napoli (Allied Joint Force Command) dirige la Nrf a rotazione con quelli di Brunssum e Lisbona. La rotazione però è relativa: quando nel giugno 2005 la responsabilità della Nrf è stata trasferita da Napoli a Lisbona, il comando è passato dalle mani dell’ammiraglio statunitense G. Ulrich III (comandante sia del Joint Force Command di Napoli che delle Forze navali Usa in Europa) a quelle del vice-ammiraglio statunitense J. Stufflebeem del comando di Lisbona.
E’ stato quindi sicuramente il Pentagono a scegliere l’arcipelago di Capo Verde, «gentilmente concesso dal governo», per l’esercitazione che rende pienamente operativa la Nrf. Anche se la Nato assicura che è uno «scenario completamente fittizio», la sua scelta non è casuale. Da tempo il Pentagono si muove per rafforzare la propria presenza militare in Africa, soprattutto nell’Africa occidentale che oggi fornisce il 15% del petrolio importato dagli Usa e che, entro il 2015, ne dovrebbe fornire il 25%.
Gli interessi in gioco sono enormi: in Nigeria, maggiore produttore petrolifero dell’Africa, il 95% della produzione è in mano a poche multinazionali, tra cui la Shell che ne controlla oltre metà. Lo stesso avviene in Ciad il cui petrolio, esportato attraverso un oleodotto che attraversa il Camerun, è controllato da un consorzio internazionale capeggiato dalla Exxon-Mobil. Tale dominio viene però ora messo in pericolo dalla ribellione (anche armata) delle popolazioni e dalla concorrenza cinese.
Da qui il piano del Pentagono di costituire basi militari in Africa occidentale e rafforzare la capacità d’intervento dall’esterno. Ecco quindi la Nrf da proiettare, sotto comando Usa, «per qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo» nel giro di cinque giorni. Mentre i parlamenti europei saranno ancora a discutere se intervenire o no