CHE NE SAI DELLA BASE U.S.A. DI CAMP DARBY?

DOSSIER INFORMATIVO A CURA DEL
COMITATO UNITARIO PER LO SMANTELLAMENTO E LA RICONVERSIONE A SCOPI ESCLUSIVAMENTE CIVILI DELLA BASE DI CAMP DARBY

CHE NE SAI DELLA BASE U.S.A. DI CAMP DARBY

DOSSIER INFORMATIVO A CURA DEL
COMITATO UNITARIO PER LO SMANTELLAMENTO E LA RICONVERSIONE A SCOPI ESCLUSIVAMENTE CIVILI DELLA BASE DI CAMP DARBY

SOMMARIO

• LA BASE

1. POSIZIONE
2. STATUS GIURIDICO
3. STRUTTURA E DISTACCAMENTI NELL’AREA MEDITERRANEA
4. UN PO’ DI NUMERI
5. UN PO’ DI STORIA

• CAMP DARBY CONNECTION

1. L’ INCHIESTA CASSON – MASTELLONI
2. LA NOTTE DEL MOBY PRINCE

• I PROGETTI DI AMPLIAMENTO

1. CRONOLOGIA RECENTE
2. L’ IPOTESI GUASTICCE

• FUNZIONE DELLA BASE NEI RECENTI CONFLITTI

• QUESTIONE SICUREZZA

1. BASE E INQUINAMENTO AMBIENTALE
2. AGOSTO 2000: SI RISCHIA IL DISASTRO
3. URANIO IMPOVERITO

• CHI PAGA LE SPESE DELLE BASI U.S.A.? I CONTRIBUENTI ITALIANI, NATURALMENTE….

• LE NOSTRE PROPOSTE: LA CONVERSIONE PREVENTIVA ED ATTIVA DAL MILITARE AL CIVILE

1. INDISPENSABILE PREMESSA
2. CHE FARE?
3. NO AL “PEACE-KEEPING”
4. CONTROLLI AMBIENTALI DA SUBITO
5. PREPARARE LA CONVERSIONE
6. AVVIARE LA DISCUSSIONE
7. INDIVIDUARE I SOGGETTI
8. CREARE LE ALTERNATIVE

L’estate fianchegghiamo spesso quel recinto per andare al mare.
10 Km. di rete, filo spinato e telecamere.
Ci siamo abituati a tal punto da dimenticare che un pezzo di pineta accanto a casa nostra è chiuso ed inaccessibile. Perché?

Cos’è Camp Darby, perché è stato costruito, a cosa serve?
Che c’è dentro? Chi ci lavora? Quanti militari, quanti civili?
Che cosa sono tutte quelle grandi strutture che s’intravedono dal filo spinato?
Quante armi sono custodite nei silos scavati nella pineta?
Di che tipo sono: convenzionali, chimiche, nucleari?
Si sono mai verificati incidenti rischiosi ai silos d’armi?
Tante domande, nessuna o pochissime risposte.
Di sicuro sappiamo che le armi di Camp Darby sono continuamente utilizzate per uccidere.

Potrebbe esserci qualcos’altro, nella nostra pineta, al posto di Camp Darby?
E’ possibile pensare ad una riconversione ad uso civile di quel territorio?
Una riconversione che garantisca comunque posti di lavoro?

Questo breve opuscolo è un promemoria di informazioni su Camp Darby.
Contiene informazioni utili e risposte possibili per chiarire una volta per tutte che liberare il nostro territorio da questa base di guerra è possibile, oltre che necessario ed urgente.

La lettura di queste pagine contribuirà a togliere alibi e scusanti a politici ed amministratori locali che rinviano all’infinito politiche concrete per allontanare finalmente questo immenso deposito di armi dell’esercito U.S.A. dai nostri territori

POSIZIONE

La base è situata nella pineta di Tombolo, in provincia di Pisa, ma è in pratica alla periferia nord di Livorno.
Occupa circa mille ettari di terreno, che si estendono in una posizione ideale per il bacino del Mediterraneo.
Al suo interno arrivano una linea ferroviaria, che la collega all’aeroporto di Pisa e alla linea Torino – Roma delle FS, il canale dei Navicelli, che la unisce al Porto di Livorno ed è in prossimità dello svincolo Pisa Centro dell’autostrada A12.

STATUS GIURIDICO

La concessione agli Stati Uniti della base di Tombolo è avvenuta nel 1951, grazie ad un trattato bilaterale firmato dall’allora Ministro della Difesa italiano, dal governo USA e dal Pentagono. Il trattato ancora oggi mantiene un grado di segretezza elevato.
Camp Darby non si trova in una condizione di extraterritorialità, infatti il trattato non prevede la rinuncia alla sovranità sull’area in oggetto da parte della Repubblica Italiana, ma solo la sua concessione alle forze armate USA.
Il comandante della base è un ufficiale italiano (Colonnello Raffaele Iubini, dato 2005), affiancato da un comandane statunitense ( Tenente Colonnello Steve Sicinski, dato 2005).
Ulteriore autorità della base è il comandante del 22° gruppo Setaf di Vicenza, la base principale Us Army in Sud Europa, da cui dipende Camp Darby.
Ma chi comanda effettivamente a Camp Darby?
Camp Darby, come le altre basi USA in Italia, è inserita nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratta ai meccanismi decisionali italiani.
“The Shell Agreement”, memorandum d’intesa Italia – USA del 1995, attribuisce alle autorità italiane compiti relativi alla sicurezza della base, non facoltà di stabilirne l’uso.
La durata prevista dal trattato della concessione in uso della base non è di dominio pubblico; secondo la maggior parte delle fonti sarebbe di 99 anni e scadrebbe quindi nel 2050.

STRUTTURA E DISTACCAMENTI NELL’AREA MEDITERRANEA

E’ una base statunitense, ma ospita al suo interno anche un comando NATO; gestita dall’ U.S. Army, per il quale è la principale struttura logistica nel Mediterraneo, ha inoltre la funzione di stoccaggio e manutenzione di armamenti.

All’interno di Camp Darby hanno sede 26 strutture di appoggio dell’esercito, dell’aviazione e del Dipartimento della difesa; è presente, inoltre, una base di addestramento della Guardia Nazionale dell’esercito.

Unità presenti:

31° Munitions = munizioni per esercito ed aeronautica
Dipendente dalla base americana di Aviano (Italia)

31° genio riparazione aeroporti e gestione carburante delle marina militare
Dipendente dalla base americana in Germania di Ramstein

D.U. management office = distruzione mezzi obsoleti
Negozi alimentari (24 italiani nella gestione)
Scuola per i figli dei militari
(questi tre comparti dipendono direttamente da Washington)

13° military Police (equivalenti dei nostri carabinieri)
Dipendenti dal comando presente a Vicenza

14° Movement contro time spostamenti interni/esterni alla base dei mezzi e delle munizioni
Dipendente dal comando presente nella base in Germania di Heidelberg (che è anche la sede del comando supremo delle forze statunitensi in Europa)

M.I. military Intelligence (66 tra americani ed italiani)
Dipendente dal comando presente nella base in Germania di Hidelberg (che è anche la sede del comando supremo delle forze statunitensi in Europa)

AFN CID 106 FM (radio della Base)
Dipendente dal comando presente nella base in Germania di Hidelberg

Comando di polizia criminale
Dipendente dal comando presente nella base in Germania di Hidelberg

Ufficio contratti
Dipendente dal comando presente nella base in Germania di Hidelberg

839 Trans (movimenti navali interni ed esterni alla base)
Questo comparto è dipendente da un comando presente in una città dell’Hillinois.

Come documenta l’organizzazione statunitense Global Security (www.globalsecurity.org le cui informazioni sono risultate finora sempre attendibili), il 31° squadrone munizioni che opera a Camp Darby «è responsabile del maggiore e più disseminato arsenale di munizioni convenzionali delle Forze aeree Usa in Europa, consistente in 21.000 tonnellate collocate in Italia, e di due depositi classificati situati in Israele»

La popolazione permanente, tra dipendenti ed i loro familiari, supera le 2.000 unità.
Il personale militare è formato da circa 350 statunitensi suddivisi tra Army e Air Force. Altro personale civile “militarizzato” è fornito da ditte appaltanti del Dipartimento della Difesa Usa.
La maggior parte del personale statunitense vive con la famiglia in appartamenti esterni alla base.

D’estate le strutture ricettive del campo diventano un’attrattiva turistica, essendo sulla riviera italiana a poca distanza dalla località balneare di Tirrenia. La struttura ricreativa MWR -che è composta da un camping e dallo stabilimento balneare di Viale del Tirreno- riesce ad ospitare annualmente oltre 50.000 villeggianti, tra militari statunitensi, anche in pensione, con le loro famiglie.
Gli impiegati italiani sono circa 580, addetti a servizi quali manutenzione, pulizia e manovalanza, alcuni alle dipendenze dirette di Washington, altri lavorano per ditte italiane appaltatrici di servizi all’interno della base.

I lavoratori italiani sono appoggiati da un coordinamento nazionale di sindacalisti Cisl, che si occupa del personale civile delle basi militari statunitensi in Italia, essendo vietato l’ingresso ad altre organizzazioni sindacali quali Cgil, RdB/CUB, Cobas.

La base inoltre è circondata da altre strutture militari importanti: presso San Piero a Grado sorge il Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (CISAM) sede, a suo tempo, del reattore nucleare militare italiano.

Contiguo al CISAM sorge un centro di ricerche della Marina Militare.
A pochi chilometri si trova il centro comunicazioni di Coltano, nodo fondamentale nel sistema di telecomunicazioni mondiale del Pentagono; infine nei pressi del porto di Livorno è stanziato un piccolo distaccamento per l’amministrazione e la logistica.

UN PO’ DI NUMERI

I depositi di munizioni sono in tutto 125, di cui 90 “coperti” (50 per l’esercito – nello specifico munizioni per carri armati – e 40 per l’aeronautica)
Ospitano circa 20.000 tonnellate di munizioni per artiglieria, missili, razzi e bombe d’aereo.
Gli equipaggiamenti presenti possono armare una brigata corazzata completa: 2.600 mezzi tra Carri armati Abrams (35), blindati Bradley (70), jeep e camion.
Nel ’99 la capacità complessiva dei magazzini è stata certificata in 32.000 tonnellate di ordigni.
Si stima che nella base siano stoccate oltre un milione e mezzo di munizioni. In totale ci sono materiali bellici del valore di due miliardi di dollari, missili ed ordigni esclusi.
Tutti questi sono numeri indicativi, probabilmente inferiori a quelli reali, che aumentano all’inverosimile in base alle offensive militari nei vari fronti di guerra, come accaduto nell’estate 2006 con i 34 giorni di bombardamento sul Libano

UN PO’ DI STORIA

Il 19 luglio del 1944 le truppe della Quinta armata statunitense del generale Mark Clark occupano e liberano Livorno dai tedeschi. La città è semidistrutta, il porto e le sue strutture gravemente danneggiate.
Il 20 agosto dello stesso anno iniziano ad arrivare le prime navi americane; il porto, completamente militarizzato e gestito dal comando alleato, è rapidamente riattivato. Livorno diviene così lo scalo strategico numero uno degli Alleati nel Mediterraneo e la pineta di Tombolo si trasforma in un enorme deposito della sussistenza alleata.
Il “Campo” è grossolanamente delimitato: comprende il Porto di Livorno, il campo d’aviazione di San Giusto alla periferia di Pisa, le colonie del Calambrone, mentre all’interno arriva fino ai confini della bonifica di Coltano, dove viene istallato un campo di prigionia per tedeschi e fascisti repubblichini.
Intorno alle strutture di Tombolo fioriscono commerci e traffici di ogni tipo: borsaneristi, prostitute, fuggiaschi e disertori vivono accampati nella pineta traendo profitto dell’enorme quantità di beni che gli statunitensi riversano nella loro base logistica più avanzata. Tombolo è anche un campo di riposo “Rest Camp” dove rientrano i soldati per il riposo, inquadramento e rifornimento dopo il periodo in prima linea.
Il 31 agosto 1944 l’aviazione U.S.A. bombarda a tappeto la zona industriale ed alcuni quartieri di Pisa. Di tedeschi nemmeno l’ombra. Oltre 3.000 i civili uccisi inutilmente. Ma la ricostruzione, si sa, è sempre un businnes molto lucroso….

Il 10 febbraio 1947 viene firmato il trattato di pace che prevede la consegna all’Italia, entro la fine dell’anno, delle strutture militari e civili e lo sgombero delle truppe rimaste.
Il 5 novembre gli Alleati restituiscono il campo d’aviazione all’Aeronautica Militare Italiana. Il 14 dicembre l’ultimo contingente di truppe USA in assetto militare lascia Livorno.
In realtà gli statunitensi restano, anche se non più come truppe di occupazione.
Nel 1948 viene firmato un accordo tra Italia e Stati Uniti che prevede la creazione di un Centro Sbarchi USA nella banchina Assab del Porto di Livorno.
L’area di Tombolo, assieme al porto di Livorno, viene utilizzata anche per l’operazione di emigrazione dei profughi istriani verso gli Usa, il Canada e l’Australia, a seguito dell’occupazione jugoslava della penisola dalmata. Molti aiuti dell’ERP, il “Piano Marshall”, transitano da questo nodo.
Nel 1951 la base di Tombolo è concessa agli Stati Uniti con un trattato bilaterale di permanenza e nel 1952 assume il nome legale di Camp Darby, in memoria del generale statunitense William O. Darby, morto in Alto Adige il 30 aprile 1945, ultimo giorno di guerra.
Nel 1955, dopo la firma del Trattato dello Stato Austriaco, tutte le truppe di occupazione USA stanziate in Austria vengono ritirate e, secondo l’accordo firmato con l’Italia, Camp Darby è la base per il ritiro ed il reimbarco dei soldati, dell’equipaggiamento e degli approvvigionamenti.

CAMP DARBY CONNECTION

LA BASE E LA POLITICA INTERNA DEL NOSTRO PAESE
UNA STORIA DI INGERENZE

L’INCHIESTA CASSON-MASTELLONI

La base ha avuto anche un ruolo centrale nella strategia di destabilizzazione che ha insanguinato l’Italia negli anni ’70 e ’80. Fin dal 1974 erano filtrate voci sull’uso della base per l’addestramento di neofascisti, voci successivamente confermate dalle indagini dei giudici veneziani Casson e Mastelloni.

1990 – Un’indagine condotta dal giudice Casson rende noto che Camp Darby è la principale base strategica, chiamata in codice “Base A”, della rete segreta paramilitare e di ispirazione anticomunista Stay Behind, più conosciuta come Gladio, che se ne serviva per l’addestramento e come magazzino di armi e munizioni.

Marzo 1997 – Nell’ambito dell’inchiesta portata avanti dal giudice Mastelloni sulla caduta a Marghera il 23 novembre del 1973 del velivolo dell’Aeronautica Militare Argo 16 emergono una serie di interessanti circostanze circa la base di Camp Darby.
1) Risulterebbe, infatti, che negli anni Settanta nei depositi sotterranei fossero stivati centinaia di testate nucleari; secondo Mastelloni gli ordigni nucleari sarebbero ancora -nel 1997- nascosti nei depositi sotterranei della base.
2) Anche l’inchiesta di Mastelloni riconosce che Camp Darby sarebbe stata la «Base A», confermando quindi l’indagine di Casson.
3) Alla base avrebbero avuto accesso esponenti dell’estrema destra grazie a permessi rilasciati dai comandanti americani.

• Il 6 marzo, giorno successivo alla comparsa della notizia sugli organi di stampa, il dottor Maselli, addetto stampa e portavoce del comando generale del Setaf -il comando Nato in Italia-, smentisce ufficialmente le notizie filtrate dall’ufficio del giudice Mastelloni: “Bombe atomiche a Camp Darby? E’ una vecchia storia che periodicamente viene fuori, ma sono in grado di smentirla. Armi convenzionali sì, quelle ci sono, visto che è una base militare, ma quelle e basta”. “Non mi permetto certo di commentare l’inchiesta di un giudice italiano. Vedremo quando trarrà le conclusioni. Per ora posso escludere che a Camp Darby ci siano ordigni atomici.”
Perché allora il comandante statunitense della base toscana rifiutò di ricevere il magistrato veneto e il governo si affrettò a opporre il segreto di Stato su tutta la vicenda? E soprattutto quel “per ora posso escludere che a Camp Darby ci siano ordigni atomici” non significa affatto che non ci siano mai stati.

LA NOTTE DEL MOBY PRINCE

• Il 10 aprile del 1991 il traghetto Moby Prince va in fiamme davanti al porto di Livorno. 140 persone muoiono carbonizzate, ed una sola sopravvive, il mozzo Alessio Bertrand. E’ la più grande tragedia della marineria italiana dopo la II guerra mondiale. Quella notte in rada al porto c’erano cinque navi USA di ritorno dall’Iraq. La tragedia avviene alle 22:25, quando il traghetto, che stava uscendo dal porto, si scontra con la petroliera Agip Abruzzo, ormeggiata proprio tra una delle imbarcazioni militari e un’altra petroliera, l’Agip Napoli.

Il comitato dei familiari delle vittime ritiene che la tragedia sia collegata al movimento delle navi USA. Secondo le testimonianze di alcuni militari italiani, una nave USA imbarcava armi e munizioni all’imboccatura Nord del porto nella zona del Calambrone in zona proibita e con procedure non conformi alle regole di sicurezza, che prevedono lo svolgimento di tali operazioni rigorosamente nelle ore diurne in prossimità del canale Navicelli, lontano dunque dalle rotte della navigazione civile.

Dopo aver scritto per anni all’ambasciata USA a Roma chiedendo la consegna dei tracciati radar e delle foto satellitari USA di quella notte, il consigliere della regione Toscana Erasmo D’Angelis riceve, nel maggio 2002, il primo ed unico documento ufficiale statunitense sull’incidente del Moby Prince dal capo ufficio responsabile dell’Avvocatura militare statunitense, John T. Oliver.
In primo luogo viene confermata nella notte dell’incidente la presenza di cinque navi USA nel porto di Livorno, smentendo quindi la versione fornita undici anni prima dal comandante del Leghorn Terminal di Camp Darby, il quale aveva comunicato soltanto i nomi di tre imbarcazioni militarizzate destinate all’ancoraggio in rada.
Secondariamente viene negata l’esistenza del materiale richiesto. “Camp Darby non è in possesso, e non lo era all’epoca, di attrezzature in grado di intercettare le comunicazioni radio della Moby Prince”. “Allo stesso modo Camp Darby non è dotata di attrezzature radar. Il governo Usa non aveva alcun motivo di monitorare il porto di Livorno con un sistema di immagini satellitari e non lo stava facendo. Non sono quindi disponibili immagini o registrazioni di alcun tipo”.
Dunque Camp Darby, ovvero la base logistico – militare statunitense più importante nel Sud Europa e dell’area del Mediterraneo, a differenza del “piccolo” aeroporto militare pisano di San Giusto, non sarebbe dotata di attrezzatura radar. Nessun monitoraggio, nessuna copertura satellitare, nessuna possibilità di registrare movimenti ed eventuali comunicazioni fra le navi all’ancora e le strutture di controllo del sistema portuale. E, se non esiste attrezzatura radar, gli elicotteri della base non volano di notte, nemmeno in caso di emergenza: dunque le eventuali emergenze devono avvenire solo di giorno, con la luce solare, preferibilmente in orario d’ufficio…..

I PROGETTI DI AMPLIAMENTO

CRONOLOGIA RECENTE

Risale all’inizio degli anni novanta la notizia dell’ampliamento della base di Camp Darby in base ad un progetto, concepito in sede NATO, che prevede la costruzione di varie infrastrutture per circa 52 milioni di dollari.
Il progetto viene presentato al Co.mi.par, di cui fa parte anche la Regione Toscana, che, in questa occasione, chiede di acquisire una maggior documentazione prima di esprimere il proprio parere.

Il Comipar (Comitato misto paritetico sulle servitù militari) è un comitato che per legge si occupa di esaminare i problemi connessi all’armonizzazione fra piani di sviluppo territoriale ed economico-sociale della regione ed i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni. Si riunisce due volte l’anno ed ha una funzione solo consultiva, poiché ogni decisione finale spetta al ministero della Difesa.
Il suo parere negativo comporta comunque un riesame obbligatorio da parte del ministero stesso.

Nel 1993, per la prima volta nella storia della base, avviene un incontro tra le autorità di Camp Darby e le istituzioni locali, rappresentate dall’allora presidente della Regione Toscana Vannino Chiti.
Il 10 ottobre del 1996, il Comipar approva il dossier Nato, dopo aver recepito le osservazioni volte a ridurre l’impatto ambientale dei lavori, presentate dal rappresentante dell’Ente Parco ed appoggiate dalla Regione.

Nel 1997, il presidente della Provincia di Pisa Gino Nunes ed il sindaco della città Piero Floriani richiedono formalmente in una nota che Camp Darby torni ad essere territorio italiano e che la base venga smantellata. Il giorno successivo, tuttavia, precisano di non averne richiesto la chiusura.

Nel maggio 2002, il comando italiano della base richiede all’ Università di Pisa di poter recintare un terreno demaniale prospiciente alla base attualmente in concessione all’ateneo.

Il 23 gennaio 2003, il Sottosegretario per la Difesa Francesco Bosi, rispondendo ad un’interrogazione di Mauro Bulgarelli (Verdi), informa che per la base di Camp Darby è in esecuzione un contratto di circa 2,5 milioni di dollari, con oneri a carico degli Stati Uniti, per il riadattamento dei magazzini nei quali si sono verificati cedimenti strutturali* e per la manutenzione di tutti gli altri. Bosi precisa che per tali lavori è stato concesso il preventivo benestare tramite la commissione mista costruzioni.

* Il “riadattamento” è sicuramente riferito alle riparazioni necessarie in seguito al disastroso incidente di cu parliamo a pag……(qui vedere a che pag. va a finire la notizia)

Marzo 2003. Con un emendamento al pacchetto NATO per i possibili progetti militari, viene finanziato un progetto di ristrutturazione e ampliamento del canale dei Navicelli, il canale artificiale che collega la darsena pisana al canale scolmatore dell’Arno e quindi al porto di Livorno.
L’inizio dei lavori è previsto nel 2005 e la conclusione entro il 2010.
Rispondendo ad un’interrogazione della deputata di Rifondazione Elettra Deiana, il sottosegretario Bosi afferma che i lavori interesseranno soltanto la riparazione della banchina di Tombolo relativa al canale, per la quale è stata chiesta all’amministrazione militare la prevista autorizzazione. Poiché questa è inserita nell’area appartenente al demanio della Difesa, per i lavori all’interno della base, è stata ulteriormente chiesta ed ottenuta l’autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e sono stati sentiti l’Ente Parco regionale Migliarino – San Rossore – Massacciuccoli e la società Navicelli, società mista pubblico-privato la cui maggioranza è detenuta dal Comune, dalla Provincia, e dalla Camera di Commercio di Pisa.

Il 18 marzo 2003 il Senato accademico dell’Università di Pisa respinge la richiesta avanzata da Camp Darby . L’organo di governo dell’Università pisana approva una mozione che fa esplicito riferimento all’articolo 2 dello Statuto, quello che definisce i valori fondamentali cui si ispira l’azione dell’ateneo.

Il 17 giugno 2003, il Presidente della Regione Toscana Claudio Martini, visita la base e viene accolto dal comandante italiano Ilio Venuti e da quello statunitense Charles Leaming. Dopo la visita Martini dichiara ai giornalisti: “E’ sempre aperto e non mi sembra riguardi solo Camp Darby il tema di un futuro sempre meno militare e sempre più civile. Mi sembra che sia un argomento che devono avere a cuore tutti coloro che amano la pace e che vogliono vedere rafforzato il ruolo del mantenimento della pace e delle attività umanitarie. Naturalmente non è una questione che si risolve in quattro e quattr’otto.” Viene così confermata l’idea di una progressiva riconversione ad uso civile di Camp Darby.

Il 2 luglio 2003, il Co.mi.par. approva all’unanimità un dossier contenente il progetto di potenziamento della base praticamente identico a quello già approvato nel 1996; tuttavia viene votato una seconda volta poiché nel frattempo è cambiato il proponente: non più la NATO ma direttamente gli Stati Uniti. Si conferma così un voto unanime, comprensivo dei tecnici della Regione Toscana, delegati in quel ruolo dalle forze della maggioranza del governo regionale.

Febbraio 2004. Si apprende che il comando statunitense si sta muovendo per ottenere nel porto di Livorno una banchina in uso esclusivo dove far attraccare le navi con il materiale bellico in arrivo e in partenza. In seguito all’uscita della notizia sulla stampa, il commissario dell’Autorità Portuale di Livorno, Bruno Lenzi, dichiara che da Camp Darby non sono mai arrivate richieste per avere in concessione una banchina del porto di Livorno, precisando che la base Usa vorrebbe eventualmente un accosto preferenziale e non la concessione.
4 marzo In seguito alla notizia pubblicata dalla stampa riguardo ad un potenziamento della base militare americana, Martini dichiara : “ Voglio dire con chiarezza che rispetto alle decisioni relative all’uso del territorio esterno alla base non consentiremo a nessuno di prendere decisioni che competono agli enti territoriali. Più in generale, per quanto mi riguarda confermo la mia idea: nel futuro di Camp Darby vedo una progressiva riconversione verso un uso civile. Ma questa è una questione più generale e di lungo periodo.”
8 marzo In una nota diffusa al termine della Giunta Regionale dedicata alla questione dell’annunciato potenziamento della base, Martini dichiara: “La nostra posizione è chiara. Siamo perché si cominci a pensare ad una riconversione ad uso civile della base militare di Camp Darby. Le nostre scelte e i nostri comportamenti si ispireranno sempre di più a questo Orientamento. (…) da tempo sostengo che, in futuro, la base di Camp Darby debba essere riconvertita ad usi civili, perdendo le sue caratteristiche esclusivamente militari e assumendo invece quelle di peace keeping, ovvero sia sviluppando quelle attività rivolte a garantire la pace, la cooperazione e gli aiuti umanitari nel mondo”
5 marzo il Consiglio comunale di Livorno approva un ordine del giorno che si esprime in modo contrario circa il potenziamento della base di Camp Darby e che ne chiede la riconversione ad uso civile. Oltre ai Verdi e a Rifondazione comunista, che sono all’opposizione, si è espressa a favore anche la maggioranza ulivista. Unico voto contrario quello del rappresentante della lista civica “Livorno insieme”, mentre i consiglieri del centrodestra non hanno partecipato al voto in quanto non presenti in aula.
Sempre nel Marzo 2004 il Consiglio Regionale boccia una mozione presentata dalla destra in cui si sostiene la richiesta degli Stati Uniti di ampliamento della base ad uso militare. Nell’occasione, l’assessore alle infrastrutture Riccardo Conti dichiara che la Regione è contraria all’uso del porto di Livorno per l’espansione militare della base e che è venuto il momento di riconsiderare le modalità di tale presenza in Toscana, proponendo la riconversione e auspicando il passaggio della base sotto il controllo di organismi internazionali quali NATO e ONU.

2 dicembre 2005. il Presidente della Regione Toscana Claudio Martini in un articolo su “Il Tirreno” intitolato “E dopo la Maddalena trasformiamo camp Darby” dichiara: “ …Noi non vogliamo mettere in discussione quell’accordo e le alleanze dalle quali è scaturito ( parla degli accordi USA/Italia che concessero il territorio alla base USA ndr.), ma siamo a favore di un ripensamento dell’utilizzo militare della base, e auspichiamo una sua riconversione ad uso civile”. Prosegue dicendo “…Non abbiamo mai parlato di chiusura (della base ndr). Sappiamo che è molto difficile stabilire una data per lo smantellamento….La priorità (oggi) è la lotta al terrorismo. Per combatterlo non servono le guerre e le basi militari. Servono le operazioni di “peace keeping….In questa prospettiva il futuro pacifico della base di camp Darby si inserisce alla perfezione”.

L’IPOTESI GUASTICCE

Nell’agosto 2005, si diffonde la notizia che la grande base logistica Usa tra Livorno e Pisa potrebbe essere raddoppiata ed ottenere allo scopo un’altra area.
La zona indicata è la piana di Guasticce, sempre tra Livorno e Pisa, vicino all’interporto e allo scolmatore, dove è disponibile una superficie di un milione di metri quadri.
Il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi ha dichiarato che la notizia, anche se non ufficiale, è credibile: “Laddove si aprissero elementi di trasparenza anche in rapporto alla base militare di Camp Darby già esistente, se ne potrebbe discutere. Certo che guarderemo con ben minore simpatia se invece questa proposta si circonderà di segretezza e di logiche esclusivamente militari”. In seguito Cosimi smentisce la dichiarazione.
Il sindaco di Pisa Paolo Fontanelli ricorda che i comuni di Pisa e di Livorno avevano preso una posizione unitaria sulla questione della base, affermando che “…un eventuale allargamento dell’insediamento andrebbe nella direzione opposta a quella che abbiamo pensato insieme alla Regione Toscana. Dunque non sarebbe accettabile”.

Il 7 novembre 2005, il Comune di Collesalvetti approva una mozione su Camp Darby, il cui obiettivo è lo smantellamento della base al fine di ottenere una riconversione a scopi esclusivamente civili della stessa. L’impegno del Consiglio e della Giunta comunali lancia un segnale importante riguardo al cammino da intraprendere contro gli insediamenti militari stranieri in Italia.

alla luce delle notizie che ci giungono in questi giorni (gennaio 2007) da Vicenza, dove il pentagono (con il placet dell’attuale governo Prodi) intende installare una nuova base per 2.000 soldati della 173° brigata d’assalto, l’ipotesi di un ampliamento della base di camp Darby torna drammaticamente di attualità.

FUNZIONE DELLA BASE NEI RECENTI CONFLITTI

La base ha svolto una funzione fondamentale nelle operazioni belliche statunitensi in Medio Oriente, soprattutto dagli anni ’80, superando la funzione anti-sovietica per la quale era nata.
In virtù della sua posizione nel Mediterraneo ha rifornito le portaerei che colpirono più volte la Libia, ma da qui partirono anche grandi quantitativi di armi destinate ad organizzazioni paramilitari centroamericane: Nel 1986 si scoprì che la base era stata al centro del traffico segreto di armi verso l’Iran, il cosiddetto scandalo Iran-Contras gate, gestito dalla CIA con la colpevole “distrazione” del governo italiano.

Ulteriori conferme della sua importanza strategica si desumono dal fatto che provenivano da Camp Darby circa 4.000 tonnellate di bombe e granate usate contro l’Iraq durante l’operazione Desert Storm nel 1991, così il 60% delle bombe sganciate sulla Jugoslavia nel 1999. Ad esempio, nel dicembre 1998, alla vigilia del conflitto balcanico sui moli livornesi furono movimentate circa 3000 cluster bomb.
La base, specie dopo la chiusura di molte basi sul territorio tedesco, è diventata sempre più importante nella strategia di proiezione verso l’Europa dell’Est, il Mediterraneo ed il Vicino Oriente.
E’ il vero bazar delle forze americane, vi si trova di tutto, dal bottone al missile, il tutto nel più ampio concetto di “pre-posizionamento” delle forze e dei materiali. In pratica si tratta di lasciare in varie parti del mondo l’occorrente per avviare una guerra, ma non gli uomini per farla. Questi si addestrano nelle loro basi negli U.S.A. e vengono letteralmente “proiettati” sul posto dove basta “mettere in moto” un carroarmato e partire.

• Le difficoltà riscontrate dall’esercito U.S.A. in Iraq ed Afghanistan stanno costringendo i vertici militari del Pentagono ad avvicinare le truppe alle zone conflittive: l’ipotesi di costruzione di una nuova base a Vicenza, presso l’aeroporto “Dal Molin”, va in questo senso.
• Le voci circolate nel 2005 sull’ipotesi di raddoppio a Guasticce (LI) della base di camp Darby acquistano così una sinistra luce di concretezza, dato che maggiori truppe hanno bisogno ovviamente di maggiore supporto logistico.

QUESTIONE SICUREZZA

BASE E INQUINAMENTO AMBIENTALE

L’impatto della base sull’ambiente fisico e sociale è molto elevato.
Da un punto di vista dell’ecosistema è bene ricordare che la pineta di Tombolo è una della ultime rimaste tra quelle che ricoprivano le coste del Mediterraneo. Vi sono ancora daini, cervi e cinghiali all’interno della base. Gli statunitensi, per questioni di sicurezza, hanno però stanziato due milioni di dollari per ripulire il sottobosco, compromettendo la conservazione della flora e della fauna presente.
In generale i siti militari pongono enormi problemi di inquinamento. Le tipiche operazioni che vengono svolte al loro interno richiedono una varietà di processi industriali, alcuni specificatamente militari, altri del tutto simili alle routines delle industrie civili.
Basti pensare che tra i siti di cui è prevista la bonifica in provincia di Pisa, circa la metà si trova all’interno di Camp Darby. Questa però probabilmente è solo la punta dell’iceberg: occorrerebbe quindi passare al setaccio la base per accertare quale sia il suo reale impatto ambientale.

NELL’AGOSTO DEL 2000* SI RISCHIA IL DISASTRO PER UN CEDIMENTO DEI MAGAZZINI

Secondo il sito statunitense www.GlobalSecurity.org, che ha tratto la notizia dalla rivista tecnica del Genio dell’esercito USA, nell’estate del 2000 alla base di Camp Darby è stato effettuato lo sgombero d’emergenza di numerosi ordigni.
L’attività si rese necessaria in quanto, già a partire dalla primavera dello stesso anno, era stato rilevato un cedimento parziale delle strutture di copertura di alcuni magazzini munizioni refrigerati, costruiti al centro della pineta, peraltro già precedentemente sottoposti a lavori di restauro. Il materiale esplosivo immagazzinato nelle strutture fu spostato in altri magazzini, impiegando sia personale sia robot telecomandati, in modo da evitare i rischi più grossi.
Più precisamente vennero sgomberati con estrema cautela otto depositi sotterranei e igloo, contenenti 100.000 ordigni con 23 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale.
L’operazione, durata 12 giorni, viene descritta dai militari USA come “delicatissima”, anzi addirittura, come “un piccolo miracolo”.
Tutto, naturalmente, nel più assoluto segreto. Le stesse autorità civili italiane furono tenute all’oscuro. Ancor più la popolazione circostante che, proprio d’estate, si moltiplica riversandosi nelle località di villeggiatura della costa.
La notizia, diffusa in Italia dal Corriere della Sera solo il 13 gennaio 2003, provoca varie reazioni istituzionali, ma senza lasciare strascichi.

URANIO IMPOVERITO

Nel febbraio 2003 la base viene visitata dai deputati dei Verdi Paolo Cento e Mauro Bulgarelli e dalla deputata di Rifondazione Elettra Deiana, i quali vengono ricevuti dal comandante italiano colonnello Ilio Venuti e dal colonnello americano Walton Carrol, responsabile di tutte le basi statunitensi di supporto logistico. Quest’ultimo nega la presenza di armi nucleari, ma conferma quella di proiettili all’uranio impoverito, sia per aerei che per carri armati. Specifica inoltre che spostamenti di tali munizioni da dentro e da fuori la base avvengono in continuazione, sia utilizzando il trasporto su nave che quello su gomma, ma non quello ferroviario.
Ma che cosa sono queste munizioni all’uranio impoverito? Cosa provocano?
In merito alla pericolosità dell’uranio impoverito attualmente esiste una preoccupante serie di evidenze scientifiche che portano a supporre un effettivo rischio per i militari e le popolazioni civili che entrano in contatto con questo metallo dopo la sua esplosione.
L’uranio impoverito, cioè uranio naturale privato della sua componente “fissile” può essere prodotto sia come scarto dalla raffinazione -detta “arricchimento”- del combustibile nucleare (per farne testate di bombe e combustibile per centrali elettriche), che come riprocessamento del combustibile esaurito. E’ relativamente innocuo allo stato inerte, diventando però altamente dannoso se, in seguito alla sua combustione o alla sua ossidazione, viene inalato o ingerito sotto forma di pulviscolo o di ossido.
Le particelle radioattive e gli ossidi nel tempo possono provocare una vasta gamma di manifestazioni tumorali: dalle neoplasie polmonari e vescicali alle leucemie. Ai danni provocati dalla radioattività bisogna aggiungere quelli ben più gravi causati dalla tossicità chimica di questo materiale, come di tutti i metalli pesanti. Infatti se gli ossidi entrano a contatto delle falde acquifere e si inseriscono nel circuito alimentare attraverso gli ortaggi, la carne ed il latte, i danni fisici possono essere incrementati e raggiungere livelli di guardia. Diversi studi indipendenti italiani sostengono che l’uranio impoverito sia responsabile delle diverse forme tumorali diagnosticate su militari italiani in missione in Kossovo. Altri studi hanno messo in evidenza un’elevata incidenza di leucemie e malformazioni neonatali in aree (come ad esempio in Iraq, in Afghanistan e in Kossovo) in cui si è fatto un massiccio uso di queste munizioni.
Circa un terzo delle truppe statunitensi al ritorno dal conflitto iracheno del 1991 è stata affetta dalla cosiddetta “sindrome del golfo”, consistente in un quadro patologico complesso e non univoco che comprende manifestazioni cancerogene, malformazioni neonatali, emorragie, difficoltà respiratorie, fatica cronica, perdite di memoria e della capacità di concentrazione, disturbi della personalità.
L’uranio impoverito, le cui caratteristiche belliche sono “eccezionali” per i risultati che ottiene ed il costo relativamente basso, non fa però distinzione tra “buoni” o “cattivi”, colpisce chiunque si trovi nel momento dell’impatto del proiettile in un raggio di 60 – 70 metri dal bersaglio e nel breve-medio termine genera conseguenze connesse all’inquinamento ambientale e della catena alimentare. Il rischio maggiore, quindi, è quello delle imprevedibili conseguenze a lungo termine che possono correre le popolazioni civili destinate a vivere in prossimità delle aree inquinate.

Un residuo di uranio impoverito di mezzo kg rappresenta una fonte inquinante 3000 volte superiore a quella stabilita dal DL 230/95. E’ quindi sicuramente elevata la probabilità che manipolando anche piccolissimi frammenti di uranio impoverito si corra il rischio di essere contaminati nei termini descritti dalla legge.
Da non addetti ai lavori sorge così una domanda: visto che l’Esercito italiano non ne ha in dotazione, perchè in casa nostra degli stranieri tengono un’ arma le cui conseguenze possano essere altamente dannose?

CHI PAGA LE SPESE DELLE BASI U.S.A. IN ITALIA?
I CONTRIBUENTI ITALIANI NATURALMENTE….

Con i soldi dei contribuenti italiani si pagano non solo le spese militari del nostro paese, ma addirittura i costi delle basi americane in Italia.
Denaro liquido ma anche sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite di trasporti, tariffe e servizi.
In proporzione, siamo il paese NATO che versa di più agli USA: il 37% delle spese complessive contro il 27% della Germania. Contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a quelli della Nato», spiega lo statunitense Report on allied contributions to the common defense.
Qualche dato: l’Italia nel 1999 stanziò alle basi USA 480 milioni di euro, nel 2001 324 milioni di euro e circa 367 milioni di euro nel 2002.
Ma non finisce qui.
Nei patti tra Washington e Roma esiste una clausola chiamata Returned property – residual value, che prevede un indennizzo per le «migliorie» apportate. L’accordo è top secret, ma qualcosa filtra alla pagina 17 delle «osservazioni preliminari» che il GAO (Government Accountability Office), organismo del Congresso USA che controlla la Casa Bianca (un po’ come la nostra Corte dei Conti), ha consegnato al congresso USA nel luglio del 2004. Leggiamo: «Gli accordi bilaterali stabiliscono che se il governo italiano riutilizza le proprietà restituite entro tre anni, gli Stati uniti possono riaprire le trattative per il valore residuale». Che più o meno vuol dire: se i terreni vengono riusati entro quel periodo, il rimborso va aumentato: CI FARANNO PAGARE 2 VOLTE I TERRENI INQUINATI DOVE PER OLTRE 50 ANNI HANNO MANTENUTO LE LORO BASI MILITARI!

CONQUISTERANNO IL NOSTRO CUORE E LE NOSTRE MENTI?
NO, GRAZIE!

Le guerre si combattono con le armi sui fronti esterni e con la politica su quelli interni. Talvolta tracimano, e non si distingue più l’interno dall’esterno.

Il nostro paese dal 1945 ad oggi è una retrovia strategica di tutte le guerre, in Medio ed in Estremo Oriente, in Eurasia e nel corno d’Africa.
Il Pentagono lavora perché lo sia anche per quelle future.

Dall’occupazione post bellica ad oggi molte cose sono cambiate. Durante la “guerra fredda” sui nostri territori è stata sperimentata quella che Henry Kissinger ed Edward Luttwak chiamavano la “guerra di bassa intensita’ “. Allo scopo di impedire un cambiamento politico nel paese le basi USA divennero luogo di organizzazione ed addestramento per fascisti, gladiatori e corpi separati dello Stato italiano – (*) si veda il capitolo di questo opuscolo dal titolo “Camp Darby Connection”.

Oggi gli strateghi militari U.S.A. tentano un approccio diverso con le popolazioni che abitano intorno ai tanti insediamenti militari presenti in Italia .
Obiettivo: “conquistare il cuore e le menti” delle popolazioni.

Ecco una plausibile spiegazione per l’ “offensiva diplomatica” iniziata il 2 dicembre 2005. In una conferenza stampa tenuta dal nuovo comandante USA della base, il tenente colonnello Steve Sicinsky, comunica la volontà di “aprire la base alla città”, mettendo a disposizione le varie infrastrutture (campi sportivi, palestre, spazi ricreativi) alle realtà sociali e culturali, all’associazionismo di Pisa e Livorno
Recentemente si è parlato addirittura di un diretto coinvolgimento della base nella “protezione civile” del territorio circostante.
L’ultima notizia che si inserisce appieno in questa strategia, battuta dai giornali lo scorso 23 agosto 2007, è quella degli allenamenti del Pisa calcio all’interno della base.
Il comandante della base di camp Darby trova un inaspettato alleato nella dirigenza della squadra e una (meno sorprendente) “copertura” da parte degli amministratori locali e regionali..

Da tempo anche noi chiediamo di “aprire” camp Darby:

• Ai Giudici italiani che da anni non possono svolgere indagini sul coinvolgimento diretto della base nella strategia della tensione in Italia – (*).
• Ai lavoratori italiani iscritti ai sindacati di sinistra, discriminati da un regolamento vergognoso che rende il territorio italiano colonia delle leggi di Washington.
• Alle ispezioni nei centinaia di silos contenenti tonnellate di armi sconosciute.

Ma le nostre richieste di apertura da sempre cadono nel vuoto….

Sconcertanti sul tema degli allenamenti all’interno della base le dichiarazioni del Presidente del Pisa Leonardo Covarelli.
Com’è possibile che un dirigente sportivo, in un periodo nel quale lo sport è testimonial di grandi campagne di pace e solidarietà, tenti di separare gli allenamenti dal luogo dove si svolgono?
Sa Covarelli che le armi con le quali si distrugge la vita a migliaia di persone nei vari fronti di guerra partono quotidianamente da quella base, a pochi metri dal campo sportivo?
Il movimento contro la guerra toscano, impegnato in questi giorni nella battaglia contro la costruzione di una nuova base USA al dal Molin, si mobiliterà con forza contro la base. La serenità degli allenamenti non è garantita.

Sconcertanti le dichiarazioni dell’Assessore allo Sport del Comune di Pisa Fabrizio Cerri.
Un amministratore ben informato su camp Darby non può tentare di sdrammatizzare questa scelta, che compatibilizzerebbe ancora di più un insediamento militare che invece deve essere solo chiuso, corpo estraneo e nemico di tutti noi.
Un Assessore che non si pone il problema della ripresa in tranquillità di un campionato che vede finalmente la nostra squadra in serie B, non fa un buon servizio alla città.

Infine il Vicepresidente della Regione Toscana Federico Gelli, che il 24 agosto 2007 dichiara: “…una buona idea gli allenamenti del Pisa a camp Darby. Sono inseribili nel solco della riconversione della base…” (?!).
Per giustificare la sua dichiarazione Gelli cita una lettera inviata dalla Regione un anno fa a Prodi per una “rinegoziazione” delle basi USA in Italia. La sollecitazione toscana è stata presa molto sul serio dal Governo: Prodi ha deciso di accettare una nuova base USA a Vicenza, quindi un futuro ampliamento di quella di camp Darby.

ALTRO CHE RICONVERSIONE!!

La scelta della dirigenza del Pisa calcio di inviare i giocatori in una base militare è irresponsabile.
Vergognose le coperture politico amministrative alla decisione.
Camp Darby è coinvolta direttamente nei conflitti in atto in Afghanistan, Iraq e Libano.
L’Italia sta attraversando un momento di forte tensione per le prossime mobilitazioni contro la costruzione di una nuova base USA a Vicenza.
In nessun momento questa decisone sarebbe stata opportuna.
Decidere ora di inviare la squadra tra i carri armati a stelle e strisce è – oltre che indice di insensibilità – oltremodo sbagliato.
Ci auspichiamo che i vertici sportivi pisani individuino altri e pacifici luoghi di allenamento.

Il Comitato per lo smantellamento e la riconversione
a scopi esclusivamente civili della base U.S.A. di camp Darby

Comunicato del 29 agosto 2007

LE NOSTRE PROPOSTE

LA CONVERSIONE PREVENTIVA ED ATTIVA
DAL MILITARE AL CIVILE

INDISPENSABILE PREMESSA

Pericolose ed “energivore”, le basi di guerra dovrebbero essere smantellate urgentemente senza distinzioni.
La chiusura di una base militare è un contributo al disarmo ed alla decrescita, ma………………
bisogna evitare che l’ex base sia sostituita da attività di Peace – Keeping, o civili nocive, inquinanti, speculative.
Le basi militari non sono né inamovibili, né eterne e le gerarchie militari non sono onnipotenti, anzi. Paragonabile ad un accampamento una base è una struttura mobile, più precaria di quanto sembri. In un breve periodo una base, strumento di guerre e distruzioni, può tuttavia causare danni di vario tipo (incidenti/attentati) ed inquinare gravemente anche il territorio dove è situata.

CHE FARE?

Le proposte qui presentate in maniera sintetica, sono da ritenersi indicazioni di massima, dal momento che le forme e i contenuti della lotta per lo smantellamento e la conversione della base di Camp Darby dipenderanno dallo svolgimento di quella discussione locale che auspichiamo e solleciteremo.

1) NO AD UNA ALTERNATIVA “PEACE – KEEPING”

Le definizioni peace-keeping e peace-enforcing adottate dall’ONU si riferiscono a due diverse situazioni nelle quali l’obiettivo è il peace-making (costruire/fare la pace)

L’esperienza sul campo ci ha dimostrato che queste due forme di intervento militare non cambiano la sostanza degli obiettivi: imporre con la forza la volontà della cosiddetta ”comunità internazionale”, cioè gli Stati oggi più potenti militarmente ed economicamente.
Il peace-keeping è il metodo “multilateralista” preferito dalle potenze europee, mentre il peace-enforcing è adottato in questi anni dagli USA in Afghanistan e Iraq.

L’aggressione del 1999 alla ex Jugoslavia (oltre 1.500 vittime civili, tra cui 500 bambini) fu il primo esempio concreto di peace-keeping.
L’attuale presenza delle forze UNIFIL in Libano è il secondo.

In entrambe i casi le forze armate europee cercano di imporre, con metodi diversi dagli USA, il loro volere affiancando le forze filo occidentali presenti sui territori: gli albanesi/kosovari in Jugoslavia, gli israeliani in Libano.

Due facce della stessa medaglia.

Per questo siamo assolutamente contrari all’idea di un uso dei 1.000 ettari oggi occupati oggi dall’esercito statunitense per una nuova base di guerra mascherata dal “bon ton” europeo.
Non esistono guerre “giuste” o, peggio ancora, “umanitarie”.

2) CONTROLLI AMBIENTALI DA SUBITO

Rispetto alla disinformazione si può contrapporre subito un monitoraggio indipendente dell’inquinamento delle aree vicino alla base, seguendo l’esempio della Sardegna dove la popolazione si è attivata e collabora con degli studiosi a cui fornisce costantemente campioni di alghe.
Si può inoltre iniziare ad esigere dalle istituzioni una verifica dello stato ambientale all’interno della struttura da parte di civili esterni competenti a scopo “preventivo”, per raccogliere dati sulla riqualificazione ad usi civili della struttura e provare ad evitare cattive sorprese al momento della chiusura della base.
Si devono ottenere informazioni sullo stato degli edifici ed altri dati utili a programmare la riqualificazione dell’area. I siti militari sono sempre variamente inquinati e la bonifica, obbligatoria anche per legge, è un processo complesso e non privo di difficoltà.

3) PREPARARE LA CONVERSIONE
Proponiamo l’assunzione da parte delle amministrazioni locali dell’obiettivo della “Riconversione Preventiva” della base USA di camp Darby, cioè di un atteggiamento politico e operativo che pianifichi ed organizzi sin da subito, e cioè prima dell’effettiva partenza delle truppe americane, le condizioni per il ripristino dell’area ad uso esclusivamente civile.
In questo senso solleciteremo le amministrazioni locali ad elaborare una proposta alla Regione Toscana per la costituzione di un “Fondo Regionale per la Riconversione” dal quale attingere per avviare controlli ambientali indipendenti, promuovere studi per la riqualificazione del territorio da liberare, finanziare borse di studio per progetti di riuso dell’area, promuovere corsi di formazione per la riqualificazione degli addetti civili della ex base, organizzare pool di esperti (ingegneri, architetti, economisti, ambientalisti, pacifisti) in grado di maturare proposte concrete di riconversione attuabili sin da subito, e quanto altro si riterrà necessario per evidenziare la volontà concreta di allontanare questa base di morte dai nostri territori.
4) AVVIARE LA DISCUSSIONE

E’ utile diffondere liberamente informazioni critiche sulle attività della base e organizzare momenti di discussione pubblica in tutti i Comuni e le circoscrizioni vicini alla base sui diversi problemi. In questi momenti d’approfondimento si possono trattare temi come l’impatto ambientale della base, i problemi della bonifica, le scelte più opportune per l’area. Bisogna anche chiedere uno spazio adeguato alla stampa locale, demolendo la leggenda dell’impatto benefico della base.
L’attività informativa locale deve cercare solidarietà all’estero, a cominciare dai movimenti per la pace negli Stati Uniti, attraverso articoli e pubblicazioni in lingua inglese sul grave problema delle basi USA all’estero, in modo da fare una diretta pressione sull’opinione pubblica statunitense.

5) INDIVIDUARE I SOGGETTI INTERESSATI ALLA RICONVERSIONE

Attraverso una sede per il coordinamento delle proposte dal basso in favore della conversione si possono contattare lavoratori, cooperative, associazioni, entità produttive, sindacati disposti a dichiarare il loro impegno immediato e concreto a favore della conversione. Queste realtà dovrebbero anche dichiarare la non collaborazione con le attività della base, ad esempio non accettando di lavorare per il suo ampliamento.
Attraverso le informazioni ottenute, questi soggetti potrebbero precisare il loro interesse per l’utilizzo di alcuni edifici all’interno della struttura militare, come sede delle proprie attività di lavoro.

6) CREARE LE ALTERNATIVE

Le alternative civili meritano di essere avviate subito.
Vicino alla base militare può sorgere una sede della principale attività che andrà a sostituirsi alla struttura militare occupandone una parte degli spazi.
Il ricatto economico ed occupazionale può essere in questo modo annullato, come anche il riuso a fini militari della struttura ed altre incertezze legate ai tempi della conversione.
I lavoratori devono essere messi in condizione di organizzarsi per promuovere attività di lavoro civili, attraverso una preliminare riflessione critica e costruttiva ed a aiuti concreti, in termini progettuali economici ed amministrativi, contribuendo così a ridurre i tempi di chiusura e conversione della base.
Le alternative civili proposte dal basso dovranno basarsi anche sulla grande riflessione ecologica in atto a livello internazionale, a causa della grave crisi ambientale.
Una traccia potrebbe essere quella della valorizzazione dell’energia solare, tema già proposto in Friuli Venzia Giulia, adatta ad essere sperimentata ed utilizzata nei grandi spazi delle ex aree militari.

Le proposte ci sono.
Manca una seria volontà nel porre al centro dell’attenzione politica ed amministrativa la “questione camp Darby”, trasformando le sempre più ambigue dichiarazioni pacifiste in concrete scelte di trasformazione dei nostri in territori di pace e non di guerra.

L’esistenza del Comitato unitario per lo smantellamento e la riconversione a scopi esclusivamente civili della base di camp Darby ha come obiettivo quello di mantenere su questo obiettivo una forte pressione sulle forze politiche e sociali locali, regionali e nazionali, attraverso campagne informative, iniziative pubbliche, manifestazioni pacifiste, sino alla liberazione dei nostri territori da questa base di guerra, dalla quale ogni giorni partono armi di distruzione di massa contro i popoli del mondo.

Per aiutarci in questo nostro lavoro contattaci, aiutaci, consigliaci
info@viacampdarby.org – 338/4014989 – 329/6947952

Questo opuscolo è stato redatto dal

COMITATO UNITARIO PER LO SMANTELLAMENTO E LA RICONVERSIONE A SCOPI ESCLUSIVAMENTE CIVILI DELLA BASE DI CAMP DARBY

Il comitato nasce il 2 Marzo 2005 dall’esigenza di realizzare un lavoro continuativo per mettere in discussione la presenza della base, individuando nel lavoro di studio, informazione, controinformazione e mobilitazione sul territorio i suoi ambiti d’intervento.

Per saperne di più visita il nostro sito: www.viacampdarby.org

Per aiutarci in questo nostro lavoro contattaci, aiutaci, consigliaci
info@viacampdarby.org – 338/4014989 – 320/0142282

L’opuscolo è stato realizzato grazie alla consultazione di numerose fonti. Per esigenze di spazio non possiamo citarle tutte. Ringraziamo tutti coloro che hanno permesso il presente lavoro.