LA GUERRA È FINITA?
Il nostro paese ha espresso per decenni livelli di coscienza, capacità di reazione e mobilitazione intorno ai temi del no alla guerra e all’intervento militare in Iraq e Afghanistan, al militarismo ed al riarmo unici in tutto il mondo occidentale.
Sino a pochi anni fa le piazze si riempivano per dire NO alle guerre di aggressione ed ai suoi sponsor, inchiodando alle proprie responsabilità governi di diverso posizionamento nell’emiciclo parlamentare.
A vedere l’Italia di oggi sembra siano passati anni luce da quelle grandi mobilitazioni.
Il tema della guerra viene costantemente distorto o espulso dal dibattito politico nazionale.
Quasi tutte le nuove espressioni del dissenso antiberlusconiano non annoverano tra le proprie parole d’ordine il no alla guerra ed alle missioni all’estero. Le vertenze a difesa dei posti di lavoro e dei servizi sociali non evidenziano la stridente contraddizione tra i tagli al salario diretto ed indiretto e aumento esponenziale della spesa militare.
Una rimozione collettiva di tale portata troverebbe giustificazione in una effettiva diminuzione dei pericoli di conflitto nel mondo, quantomeno nell’area geografica prossima al nostro paese. Potrebbe essere giustificata da una diminuzione dei processi di militarizzazione dei territori e della vita sociale e culturale interna.
La realtà che ci circonda, le scelte politiche interne ed internazionali ci raccontano una realtà ben diversa. Ci dicono che
LA GUERRA È TRA NOI.
I dati macroscopici evidenziati dalle grandi agenzie internazionali di calcolo economico ci parlano delle industrie armiere come uniche capaci di chiudere con attivi di bilancio annuali astronomici. Finmeccanica, holding italiana al 37% pubblica è tra i colossi mondiali di questo commercio di morte.
Le missioni militari all’estero continuano a produrre debito pubblico (3 milioni di euro al giorno per l’erario italiano) e guadagni privati per i soliti noti, morte e distruzione per i paesi aggrediti.
La società nel suo complesso sta subendo un processo di militarizzazione che arriva, con il protocollo La Russa – Gelmini per i corsi paramilitari nelle scuole, ad investire direttamente la formazione delle future generazioni.
La rimozione di questa realtà dipende quindi dal venir meno di una critica politica, sociale e culturale al meccanismo bellico come ingranaggio centrale dell’attuale sistema di produzione, specie in una fase di crisi sistemica come l’attuale.
In forme diverse si stanno velocemente ricreando le condizioni dell’allucinante meccanismo – ben rodato durante il secolo scorso – del “distruggere per ricostruire, per ricreare le ragioni della produzione di merci e di profitto”.
LA GUERRA TRASFORMA I NOSTRI TERRITORI.
Le basi della guerra sono essenziali per proiettare queste politiche sui territori circostanti, vicini e lontani. Così procedono i lavori al Dal Molin di Vicenza, crescono le basi di camp Darby e si ipotizza di costruire il più grande Hub militare d’Italia nel limitrofo aeroporto di Pisa, continuano i lavori di potenziamento di Sigonella e delle basi radar a Niscemi, si potenzia la produzione degli F35 a Cameri (Novara).
Territori che cambiano di segno, divenendo nei fatti grandi aree a stretta sorveglianza militare. Una immensa seconda linea organizzata per distruggere e depredare i paesi limitrofi.
SENZA UN NO ALLE POLITICHE DI GUERRA NON ESISTONO ALTERNATIVE POSSIBILI ALLO STATO DI COSE PRESENTI
Il nostro paese sarà progressivamente investito da una crisi economica sempre più pesante, che già ha ridotto milioni di lavoratori, giovani e pensionati in condizioni economiche molto critiche. Uomini e donne che cercheranno di rispondere ad una realtà senza futuro con lotte, rivendicazioni, istanze di legittima affermazione esistenziale. L’assenza attuale della tematica antimilitarista, del no alla guerra ed alle sue proiezioni rischia di contribuire al sorgere di pulsioni nazionaliste e reazionarie all’interno dei futuri movimenti di massa.
È urgente che tutte le realtà sociali, culturali, sindacali e politiche che si muovono sul terreno di una alternativa radicale al modello sociale dominante rimettano al centro delle proprie piattaforme i temi del
NO ALLA GUERRA, ALLE SPESE MILITARI, ALLA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’ E DELLA CULTURA.
PER IL RITIRO DELLE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN E DA TUTTI I CONFLITTI BELLICI.
Su questi grandi temi proponiamo a tutte le realtà pacifiste e antiguerra presenti sul territorio nazionale di impegnarsi in una scadenza comune di mobilitazione, attraverso cortei, presidi, manifestazioni, iniziative.
Indichiamo la settimana del 4 novembre prossimo, per ribaltare i contenuti di una giornata che invece galvanizza le forze armate.
DA VICENZA A SIGONELLA, DA NOVARA A PISA E LIVORNO, DA ROMA A MILANO, DA CAGLIARI A TRIESTE, DA COLLEFERRO A GHEDI, SI ALZI DI NUOVO FORTE E CHIARA LA VOCE DI CHI SI OPPONE ALLE PRODUZIONI DI ARMI, ALLE POLITICHE DI MORTE ED ALLE SUE BASI.
Chiediamo a tutte le realtà che decideranno di promuovere una iniziativa nella prima settimana di novembre di darcene notizia, in modo da poter rafforzare e socializzare la mobilitazione.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org; info@disarmiamoli.org