di MANLIO DINUCCI
Nell’agosto del 2000 nella base Usa si è sfiorato il disastro quando i soffitti di otto depositi di missili e munizioni hanno ceduto. Particolari e foto in una rivista militare statunitense
A Camp Darby sfiorato il disastro
Nell’agosto del 2000 nella base Usa si è sfiorato il disastro quando i soffitti di otto depositi di missili e munizioni hanno ceduto. Particolari e foto in una rivista militare statunitense
MANLIO DINUCCI
«Camp Darby è territorio italiano a tutti gli effetti»: lo ha assicurato il mese scorso il comandante Steve Sicinski dopo aver «aperto» la base alla stampa per «chiarire tutto sulla nostra attività» (v. il manifesto, 7 dicembre). Non si capisce allora perché, quando nell’agosto 2000 si è rasentata la catastrofe su questo lembo di «territorio italiano» e su quello circostante, nessuna autorità civile italiana è stata informata. Sull’episodio, già segnalato dalla ong statunitense Global Security, emerge ora la prova definitiva. Essa viene fornita non da una organizzazione non-governativa, ma da una rivista ufficiale dell’aeronautica statunitense, Air Force Civil Engineer, che siamo riusciti a reperire. Nell’edizione della primavera 2001, il capitano Todd Graves fornisce un dettagliato resoconto (dal titolo Moving Munitions) di quanto avvenuto a Camp Darby.
Nel maggio 2000 a Camp Darby si verificano «problemi strutturali nei soffitti di otto depositi di munizioni (magazzini sopra il livello del suolo o igloo) contenenti missili ad alto esplosivo, testate di razzi, proiettili e spolette». Il Genio dell’esercito Usa, chiamato dal 31° Squadrone munizioni di Camp Darby, conclude che vi sono «serie preoccupazioni sull’integrità strutturale dei depositi». A questo punto si decide di rimuovere le munizioni dagli igloo. Non manualmente, però, trattandosi di una operazione pericolosa, ma attraverso un robot telecomandato. Viene a tale scopo trasportato dalla base di Ramstein in Germania ad Aviano e quindi a Camp Darby, dove arriva il 9 agosto, il «Sistema di trasporto remoto multiuso» (Arts). C’è però un problema: il robot non è «progettato per questo scenario». La squadra addetta deve quindi essere addestrata a «questo tipo di operazione diversa dal normale uso dell’Arts». Dopo essersi esercitata, si mette al lavoro.
Per evitare che negli «stretti spazi degli igloo» venga «a contatto con delle munizioni», l’Arts viene assistito da un altro robot, il Rons, che viene usato anche per «rimuovere piccole cassette da spazi ristretti». In tal modo, la squadra rimuove in dodici giorni «oltre 100mila munizioni con un peso netto esplosivo di oltre 53mila libbre», ossia oltre 240 quintali. Viene così compiuta quella che l’autore del resoconto definisce «una piccola magia». Il testo è accompagnato da tre foto che mostrano: il soffitto di uno degli igloo crollato sulle casse di munizioni, il robot Rons in uno dei depositi e, infine, l’operatore che a distanza «dirige i movimenti dell’Arts con i joystick e il monitor di una stazione di controllo».
Così, in quell’agosto del 2000, mentre nelle limitrofe località di villeggiatura i ragazzi si divertivano con i joystick nelle sale giochi, a poca distanza si rimuovevano con i joystick 100 mila missili, testate di razzi, proiettili e spolette, contenenti 240 quintali di alto esplosivo. Senza che le autorità civili e la popolazione fossero informate. Mentre all’interno di Camp Darby era sicuramente pronto un piano di evacuazione dei militari e delle loro famiglie nel caso qualcosa fosse andato storto per l’errato movimento di un joystick, e fosse iniziata una catastrofica reazione a catena di esplosioni, nel territorio circostante (particolarmente affollato nel periodo estivo) non era stato predisposto alcun piano. Quando invece, per rimuovere una vecchia bomba della seconda guerra mondiale trovata in qualche campo, si evacua la popolazione da tutta la zona circostante.
The Shell Agreement – il memorandum d’intesa tra i ministeri della difesa di Italia e Usa sull’uso di installazioni/infrastrutture da parte delle forze statunitensi in Italia, stipulato nel febbraio 1995 durante il governo Dini – stabilisce che all’interno delle basi «il comandante statunitense ha il pieno comando militare sul personale, gli equipaggiamenti e le operazioni statunitensi», ma che «il trasferimento di materiale pericoloso (carburante, esplosivi, armi) nello spazio territoriale italiano» deve avvenire in «conformità alla legislazione italiana» (art. 16). Poiché il comandante statunitense di Camp Darby sostiene che quello è « territorio italiano a tutti gli effetti», ciò significa che Camp Darby viola la legislazione italiana. Oppure che Camp Darby non è territorio italiano.